Tesi 1: Nell'educare, il fine non giustifica i mezzi

Ogni sistema educativo è anche un esperimento sociale su larga scala, con i ragazzi in posizione di cavie. La prima tesi vuole essere dunque un invito a prendere sul serio la celebre esortazione ippocratica primum non nocere. Il presupposto di ogni cura è in primo luogo quello di non arrecare danno al paziente. La stessa consapevolezza, che dovrebbe informare la relazione educativa, è offuscata in ambito scolastico da aspettative di ruolo fuorvianti e profondamente radicate nell’inconscio collettivo dell’istituzione. 
Nell’interpretazione implicita di ciò che fa di un insegnante “un insegnante” rientrano soprattutto azioni quali avvisare, minacciare, correggere, sgridare, rimproverare, valutare, impedire, proibire, giudicare, etichettare, classificare. Comportamenti inaccettabili tra adulti diventano tollerati e addirittura richiesti nella relazione di potere asimmetrica docente-studente. Possiamo rallegrarci che gli insegnanti non infliggano più punizioni fisiche, che il corpo docente sia per lo più composto da professionisti disponibili e motivati. Non per questo è lecito concludere che la scuola italiana abbia abbandonato la propria vocazione violenta e autoritaria. Convinti che il fine giustifichi i mezzi, molti insegnanti e molti genitori continuano a mostrare scarsa considerazione per i bisogni psicologici fondamentali degli studenti. Le conseguenze di questo accanimento pedagogico sfuggono al senso comune e restano invisibili ai molti che imputano agli insegnanti una presunta mancanza di rigore. Coloro che auspicano il ritorno ad una scuola palestra di vita, appellandosi al valore educativo delle difficoltà e dell’insuccesso, fabbricano il proprio bersaglio polemico costruendo il feticcio di una scuola buonista, troppo soft, troppo materna e troppo accogliente. Ma l’immagine di una scuola che pecca per eccessiva bontà è semplicemente falsa. Valutazioni umilianti, verifiche continue, abusi psicologici, terrorismo didattico, offese più o meno implicite, scarso rispetto, minacce, vendette differite non sono pratiche estinte ma strumenti ancora impiegati nelle classi in misura cospicua da ogni “buon” docente. A fin di bene, naturalmente. Dunque, il primo passo da compiere per iniziare ad affrontare l’enorme problema etico posto dalle pratiche coercitive all’interno dell’istituzione scolastica consiste nel ripensare la funzione docente come professione d’aiuto, negando che la bravura di un insegnante si possa misurare sui risultati di apprendimento degli studenti e sulla pressione che il docente riesce ad esercitare sul discente. Le basi della professionalità docente risiedono nella capacità di promuovere un benessere fondato sul rispetto e sulla qualità della relazione.