Tesi 11: La scuola deve formare all'impegno sociale

La scuola e la comunità sono due mondi la cui separazione è sottolineata da rituali burocratici. Lo studente non può uscire da scuola senza un permesso scritto e gli stessi docenti non possono portare gli studenti fuori dalla scuola senza prima aver acquisito le autorizzazioni scritte dei genitori; ugualmente nessuno può entrare a scuola senza prima essersi fatto identificare. Rituali di apparente buon senso, volti a garantire la sicurezza degli studenti, che tuttavia accentuano il senso di isolamento dell’istituzione scolastica. Un isolamento che, nella percezione di molti, va coltivata, poiché la scuola è il luogo in cui ci si dedica al lavoro delicato della formazione culturale, morale ed intellettuale, ed occorre che ciò avvenga con meno distrazioni possibile, in un contesto quasi monastico.
In questa gabbia dorata gli studenti dovrebbero dedicarsi al loro perfezionamento individuale. Il condizionale è inevitabile, dal momento che individuo e comunità sono intimamente legati: si cresce come individui non fuori dalla comunità, ma contribuendo alla comunità. Nelle società che si dicono avanzate, i giovani sono esclusi per lunghi anni da qualsiasi partecipazione alla vita sociale, politica ed economica della loro comunità, e non è da escludere che vada cercata qui la causa del loro malessere. Perché partecipare, impegnarsi, contribuire alla vita di tutti è un bisogno fondamentale. Spezzato il legame tra individuo e comunità nella situazione artificiale della classe, la scuola smarrisce il senso stesso dello studio. Può davvero dar senso allo studio la convinzione che passare anni sui libri servirà poi a trovare un lavoro e inserirsi nella vita sociale? Gli studenti non hanno sotto gli occhi quotidianamente da un lato esempi di persone prive di istruzione che giungono a posizioni di potere e di prestigio, e dall’altro l’evidenza della precarizzazione del lavoro anche di scienziati di valore? Del resto, motivare in questo modo allo studio significa, per dirla con la scuola di Barbiana, formare dei ragazzi già arrivisti a dodici anni. Ed è ancora nella Lettera a una professoressa che troviamo quella che è al tempo stesso la più bella e vera definizione di politica e l’individuazione del senso più autentico dello studio scolastico: “...ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. Una scuola individualistica e chiusa alla comunità è una scuola che educa all’avarizia. E’, semplicemente, una pessima scuola: una scuola dalla quale escono persone ridotte alla sola dimensione mortificante del profitto individuale, se non hanno avuto modo di conquistare una umanità più piena al di fuori della scuola (e per fortuna spessissimo succede così).
Si studia non per sé, ma per tutti. Si studia per contribuire alla vita della comunità. E non domani o dopodomani. Già ora lo studio nella comunità di ricerca scolastica è legato ai problemi della comunità e serve a trasformare lo studente in un agente sociale, in un soggetto impegnato ad affrontare insieme ad altri i problemi della sua comunità.