Tesi 15: Il tempo della scuola non è il tempo del mercato

Quest’ultima tesi rappresenta un omaggio a Gianfranco Zavalloni, il compianto autore de La pedagogia della lumaca. “La centralità del ragazzo necessita di percorsi rallentati e, soprattutto, di uno spazio ben più ampio da conferire all’ambito affettivo-relazionale”, scriveva. Nell’ottica del mercato, il tempo dev’essere produttivo, e nulla è condannabile più dell’ozio. Che questa visione del tempo sia penetrata nella scuola, fino a caratterizzarla fortemente, è un paradosso particolarmente doloroso, se si considera che scholè indica la dimensione del riposo creativo e liberante, opposto al tempo del lavoro e del commercio. Se si pensa la scuola come preparazione al lavoro e al mercato, allora il tempo della scuola sarà lo stesso tempo del mercato: il tempo della corsa, del dirigersi verso una meta, del produrre.
Di origini contadine e contadino lui stesso, Zavalloni voleva una scuola che si adeguasse piuttosto al ritmo eterno della natura, che richiede pazienza ed attesa, ed ai tempi di apprendimento dello studente, che non può essere inteso come un elemento di una catena produttiva. In tempi di rapida e per molti versi forzata digitalizzazione della scuola, difendeva pratiche ormai marginalizzate come la calligrafia (lui stesso era un eccellente calligrafo e disegnatore), l’uso del pennino e dell’inchiostro, la creazione di orti scolastici.
Nel nostro paese il boom economico della fine degli anni Cinquanta e la rapida diffusione della società dei consumi hanno travolto la civiltà contadina. Essere contadini è diventato motivo di vergogna, al punto che quando da preside Zavalloni chiedeva agli studenti quanti di loro erano figli di contadini, solo pochi si azzardavano ad alzare la mano, per il timore di essere giudicati; e qualche mano si alzava solo dopo che il preside aveva spiegato l’importanza del mondo contadino.
Le possibilità di intervenire dal basso sono limitate. La scuola è fondata su una rigida scansione ed organizzazione dei tempi, delle ore da dedicare alle lezioni ed alle verifiche, su una dettagliata indicazione di obiettivi da raggiungere, con corrispondente indicazione dei tempi. Ci si è resi conto, a dire il vero, che esistono delle differenze di cui non è possibile non tener conto: ci sono i disturbi di apprendimento ed i bisogni educativi speciali. Agli studenti che si trovano ad avere questi disturbi e questi bisogni si riconosce, tra l’altro, il diritto a diverse “misure dispensative” che significa anche avere più tempo per le verifiche e programmarle insieme al docente. Sfugge che in realtà tutti gli studenti hanno ritmi di apprendimento personali, non solo quelli che si trovano in evidente condizione di difficoltà. Sfugge che al di fuori della scuola un apprendimento si verifica quando è giunto il suo tempo: ognuno di noi ha fatto l’esperienza di aver trovato fondamentale un libro che in un altro periodo della vita era risultato insignificante. Non ogni apprendimento va bene in ogni tempo; eppure allo studente si chiede di apprendere tutto ciò che propone il programma scolastico, con i tempi imposti dall’istituzione. E’ una pretesa assurda, che produce preudo-apprendimenti: si fa semplicemente quello che viene richiesto, con tutte le accortezze necessarie per ottenere un buon voto. Se lo studente ha curiosità intellettuale, studia a margine della scuola, seguendo i suoi interessi ed i suoi tempi.
Ripensare il tempo dalla scuola, pur con i limiti evidenti in una istituzione che segue una logica razional-burocratica, vuol dire riconoscere agli studenti autonomia, lasciare che siano loro a diventare protagonisti dei loro apprendimenti, renderli responsabili, chiedere il loro intervento nella progettazione dei percorsi di apprendimento, nella organizzazione dei tempi e degli spazi, nella stessa valutazione dei processi di apprendimento.
Il tempo del mercato è un tempo che procede dritto verso una meta; qui ed ora sono un luogo ed un tempo che devono essere attraversati produttivamente per raggiungere un altrove. La scuola acquista senso solo se il suo tempo e il suo spazio, il suo qui ed ora, diventano un tempo ed uno spazio nel quale vale la pena stare: un presente denso, significativo, nel quale si agisce, non si è agiti.