Tesi 2: Gli obiettivi a lungo termine contano più dei risultati a breve termine

La scuola costringe gli studenti a studiare cose che in gran parte non li interessano per tutelarne gli interessi a lungo termine, grazie al lavoro di insegnanti che si assumono in buona fede la responsabilità di salvare l’adulto di domani dalla pigrizia del giovane di oggi. Dal punto di vista del docente, e della società che gli conferisce il mandato, l’azione didattica più o meno coercitiva che viene esercitata sulla classe non si configura dunque come un esercizio arbitrario di potere, bensì come un atto di responsabile altruismo; gli studenti, domani, potranno avvantaggiarsi di essere stati costretti ad acquisire oggi quelle nozioni e quelle competenze di cui nell’immediato avrebbero fatto volentieri a meno. Si potrebbe essere indotti a pensare che sul lungo termine questa preoccupazione paternalistica produca un vantaggio netto. Ma se verificassimo con maggiore attenzione la contabilità di tale accanimento educativo, potremmo osservare come spesso lo zelo didattico benintenzionato provochi conseguenze inattese, o addirittura paradossali. Conseguenze di cui non ci accorgiamo perché, impegnati a produrre risultati a breve termine, a salvare il bambino da se stesso, tendiamo a distogliere sistematicamente  l’attenzione dal terreno che si brucia per eccesso di fertilizzante; è noto infatti che tutte le pratiche di rinforzo che usiamo per perseguire lo scopo di motivare in modo estrinseco gli studenti (dai voti, alle gare, ai test, ai premi) rischiano sempre di distruggere la risorsa motivazionale più preziosa dell’individuo, ovvero il piacere di fare qualcosa per il gusto di farla. Non a caso, in risposta ai nostri sistemi di valutazione che impiegano il voto come strumento di controllo e verifica, gli studenti non sviluppano alcun interesse ad approfondire gli argomenti di studio, mettono da parte ogni potenziale curiosità, preferiscono scorciatoie e compiti semplici e ostentano un atteggiamento utilitaristico, cercando sempre di conseguire il massimo risultato con il minimo sforzo. Che ci piaccia o no, la traslazione di ogni attività culturale in un’attività imposta e rinforzata con premi e punizioni, mentre produce risultati a breve termine di cui ci possiamo compiacere, produce quasi sempre anche effetti deleteri sulla motivazione stessa ad apprendere. 
Gli incentivi sono strumenti complessi, strumenti che andrebbero usati con estrema consapevolezza. Non uccidere e anzi stimolare la curiosità intellettuale in una prospettiva che abbracci l’intero arco vitale è una priorità del sistema di istruzione, incompatibile con l’esigenza di produrre risultati immediati. Un obiettivo primario e non sacrificabile. Del resto, il nostro controllo sugli obiettivi è spesso solo apparente. Nel processo di apprendimento i processi di maggior valore sono quelli sotterranei, i movimenti tellurici spesso impossibili da osservare prima ancora che da misurare. Dobbiamo praticare contro i nostri istinti educativi una forma pedagogica di ottimismo della volontà, avere fiducia che  uno spirito non del tutto annichilito nella propria capacità di scegliere avrà comunque buone possibilità di orientarsi al momento giusto verso le fonti di conoscenza e di apprendimento che sentirà più appropriati alle proprie esigenze. La scuola esercita meglio la propria funzione quando si preoccupa principalmente di stimolare, di affascinare, di creare desiderio, quando si libera dalla paura che gli studenti non imparino adesso cose che a noi sembrano fondamentali, quando trae coraggio dalla consapevolezza che non tutto ciò che si perde nell’immediato è perduto per sempre.