Tesi 6: La classe scolastica deve pensarsi come una comunità di ricerca

La parola classe, ci informa il dizionario Treccani, indicava “ciascuna delle cinque categorie in cui fu divisa, in base al patrimonio fondiario, la cittadinanza di Roma”. E’ un termine che ha una origine archeo-burocratica, per così dire. E’ l’insieme delle persone che, chiamate dallo Stato, vengono raccolte in un luogo, l’aula, e compongono insieme un gruppo artificiale, che sarà diretto dal docente verso uno scopo prestabilito, e mai discusso insieme.
L’artificialità della situazione scolastica pesa molto sul malessere della scuola. Le persone che passano insieme la giornata nello spazio ristretto dell’aula non si sono scelte, così come spesso non hanno scelto di essere lì. Gli studenti non hanno scelto il docente, che spesso subiscono. Disposti in file, in banchi da due, secondo il setting tradizionale, gli studenti creano naturalmente relazioni, stabiliscono contatti, costruiscono amicizie ed inimicizie, ma senza che questo abbia un contatto reale con la concezione dello studio e dell’apprendimento dell’istituzione. Per la quale c’è lo studente che si impegna in un suo percorso personale, che cerca di ottenere un profitto, che deve dare il massimo per non restare indietro, e se resta indietro va recuperato. Certo, lo studente può collaborare, può fare i famosi lavori di gruppo, perfino sperimentare il cooperative learning, ma in un contesto che resta individualistico ed atomizzato.
La scuola va ripensata come una comunità di apprendimento e di ricerca, e non solo perché una comunità è un luogo migliore di una classe, dal punto di vista umano, ma perché solo in una comunità, ossia in un luogo di scambio, di comunicazione, di confronto aperto, è possibile la conoscenza. Imparare non è un’azione individuale, ma un processo sociale. La scuola offre per lo più un sistema di conoscenze codificato, organizzato in discipline a loro volta divise in pacchetti di conoscenza (i moduli disciplinari), ad uno studente-atomo, che deve appropriarsene attraverso una serie di operazioni: ascolto, ripetizione, appunti… Si tratta di una attività che non ha molto a che fare con la conoscenza. Lo studente si addestra semplicemente ad affrontare l’interrogazione o il compito. Il voto non misura la conoscenza, ma semplicemente il fatto che lo studente ha fatto ciò che era necessario per ottenere il voto. Qualcosa resterà: quelle nozioni che hanno intercettato una sua domanda. Il resto andrà perso, o resterà, appunto, come nozione. Sia la parola nozione che la parola conoscenza derivano dal latino noscere. La differenza tra il primo termine, connotato negativamente, e il secondo è nel cum: nella relazione. Un cum che va inteso in due sensi. E’ conoscenza, e non nozione, quella che si lega ad altre, non resta isolata. E il collante che fa di tante nozioni una conoscenza è una domanda, un interrogarsi. Conosco se ho una domanda da fare; senza domande ci sono solo nozioni. In secondo luogo, è il cum della relazione con l’altro. La nozione diventa conoscenza nel senso più profondo quando nasce da un confronto.
Se vuole essere luogo della conoscenza, la scuola dev’essere il luogo in cui si pratica un interrogare comune: una comunità di ricerca.